LA VISIONE NASCOSTA DELL’UNIVERSO
dI Sebastiano Di Gennaro e Raimondo Galante

Normalmente gli oggetti visibili dell’universo vengono studiati dagli astronomi perché riflettono o emettono spontaneamente luce propria a seconda della loro natura, per cui si traggono informazioni sulla loro natura e sulle proprietà generali del cosmo. In seguito all’analisi della luce proveniente dal cosmo in 50 anni di osservazione, la materia visibile che compone l'Universo - tutti i pianeti, le stelle e gli oltre 120 miliardi di galassie - costituiscono solo il 4%. Il resto, il 96%, non si sa cosa sia, ci è "oscuro". Il 70% di questa "oscurità" è "energia oscura", il 26% è la materia oscura di cui gli astronomi canadesi e francesi hanno scoperto l'esistenza. Questa "massa mancante" è chiamata materia oscura, un nome che tiene conto appunto della sua fondamentale caratteristica: l'invisibilità.
Se potessimo vederla, assomiglierebbe a un'immensa ragnatela che da un capo all'altro occuperebbe una porzione di cielo di 270 milioni di anni luce (un anno luce corrisponde a circa 9 mila miliardi di chilometri): ma nessuno la può vedere, perché si tratta di "materia oscura", una materia che si sa che esiste, ma di cui non si conosce la composizione, perché risulta invisibile a ogni tipo di lunghezza d'onda. Essa è composta da particelle che non assorbono, non emettono e non riflettono la radiazione, e che quindi non può essere rivelata studiando la radiazione elettromagnetica. La materia oscura è materia che non può essere osservata direttamente. Sappiamo che esiste soltanto per gli effetti che esercita sulla materia vicina, che invece possiamo osservare direttamente. Gli astronomi la cercano da anni, ne ipotizzano la composizione, ma nulla al momento lascia trapelare di cosa sia realmente fatta. E' per questo che la sua esistenza é stata addirittura messa in dubbio.


Già negli anni trenta, due ricercatori, Zwicky e Smith esaminarono entrambi due ammassi relativamente vicini, quello della Chioma di Berenice e quello della Vergine, osservando singolarmente le galassie che componevano l'ammasso e le loro velocità nell'ammasso stesso. Quelle che rilevarono erano di un fattore da dieci a cento volte superiori al previsto. Cosa vuol dire questo? In un gruppo di galassie come quello che costituisce un ammasso, l'unica forza importante che agisce tra le galassie stesse è la gravità, è la spinta che ogni galassia fornisce alle altre che porta all'incremento della loro velocità. Il paradosso veniva dal fatto che alle velocità osservate, secondo le classiche leggi della meccanica celeste, gli ammassi dovevano essersi dispersi e le galassie sbriciolate nello spazio da tempo! Li teneva legati, nonostante le elevate velocità, la forza gravitazionale apportata dalla presenza di una massa non rilevabile direttamente.


Nel 1997, un'immagine del  Telescopio Spaziale Hubble rivelò che la radiazione di un lontano ammasso di galassie era "incurvato" da un altro ammasso di galassie in primo piano nell'immagine.
Basandosi sul modo in cui la luce era deviata, gli astronomi hanno stimato che la massa del secondo ammasso deve essere 250 volte maggiore di tutta la materia visibile che lo compone. Gli scienziati credono che sia la materia oscura a formare la massa che manca in quell'ammasso di galassie.


Gli scienziati hanno elaborato molte teorie sulla natura della materia oscura. Alcuni credono che possa trattarsi di oggetti normali, come gas freddi, galassie poco luminose o oggetti compatti e massicci di alone (chiamati MACHO, cioé oggetti come buchi neri o nane brune). Altri scienziati credono che la materia oscura potrebbe essere composta da particelle strane che si sarebbero create all'inizio della vita dell'Universo. Tali particelle includerebbero gli assioni, particelle massive debolmente interagenti (chiamate WIMP), o neutrini.


Capire di che cosa è composta la materia oscura è molto importante per capire le dimensioni, la forma e il destino futuro dell'Universo. La quantità di materia oscura nell'Universo determinerà se questo è aperto (cioè se continuerà a espandersi all'infinito), chiuso (cioè se si espanderà fino a un certo punto per poi cominciare a contrarsi e a collassare su se stesso) oppure piatto (cioè se si espanderà fino a un certo punto e poi si fermerà, raggiunto l'equilibrio). Comprendere la materia oscura aiuterà anche a spiegare definitivamente la formazione e l'evoluzione delle galassie e degli ammassi. Quando una galassia ruota su se stessa, infatti, dovrebbe disgregarsi. Questo non avviene, quindi ci deve essere qualcosa che la tiene insieme. Questo qualcosa è la gravità. La quantità di forza gravitazionale richiesta per tenere insieme la galassia, tuttavia, è enorme e non può essere generata dalla sola materia visibile che compone la galassia: deve esserci dunque anche una grande quantità di materia oscura.


Quindi, alla domanda “dove si trova la materia oscura?” la maggior parte degli astronomi è concorde nel ritenere che esiste materia oscura intorno ai nuclei delle galassie, in un alone che si estende per circa il doppio delle sue dimensioni visibili. Questo accade per esempio anche nella nostra galassia, la Via Lattea, dove le Nubi di Magellano, due nostre galassie satellite di forma ellittica contenute nell'Emisfero Sud, hanno un moto influenzato dalla presenza dell'alone di materia oscura, tanto che è possibile ritenere che esso si estenda per oltre 30.000 anni luce al di là di esse.
In generale possiamo dire che dove c'è materia visibile, c'è anche un certo quantitativo di materia oscura. Il problema è che, se ci fossero sistemi celesti dove sia presente soltanto materia oscura, sarebbe impossibile individuarli direttamente a causa della loro invisibilità; possiamo solo sperare che siano vicini a sistemi visibili in modo da poterne osservare gli effetti su di essi. Ne consegue che il quantitativo di materia oscura dovuto a questi sistemi ci é del tutto sconosciuto.


Esperimenti per evidenziare la presenza di materia oscura
Ricercatori in Minnesota hanno intercettato due segnali che potrebbero indicare la presenza di materia oscura sulla Terra. In una vecchia miniera abbandonata nel nord del Minnesota alcuni scienziati hanno dichiarato di aver rilevato, per la prima volta in maniera diretta, particelle di materia oscura. In particolare hanno visto due eventi in un anno. Il che è tantissimo, anche se non è abbastanza nel linguaggio della scienza. Il Professor Joodi Cooley, della Southern Methodist University di Dallas, ha finalmente illustrato gli ambiziosi risultati della CDMS (Cryogenic Dark Matter Search), sostenendo: «E’ stato un momento molto difficile, ma anche emozionante». L’esperimento CDMS ha utilizzato, al posto dei gas nobili, un rivelatore fatto di cristalli di germanio e silicio criogenizzati, messo al riparo da sorgenti di rumore, essendo sotto un profondo strato di roccia, per impedire ai i raggi cosmici (ovvero le particelle cariche provenienti dallo spazio sulla Terra) di raggiungerlo.


L’1 Aprile del 2009 l'esperimento “PAMELA (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light - nuclei Astrophysics)” a bordo di un satellite russo ha osservato nello spazio vicino un’anomala quantità di antimateria che potrebbe essere un segnale dell’esistenza della materia oscura. Lo studio, pubblicato dalla rivista scientifica Nature, è stato realizzato da un team internazionale coordinato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Pamela é frutto di una collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Agenzia Spaziale Russa e istituti di ricerca russi, con la partecipazione dell’Agenzia Spaziale Italiana e il contributo delle agenzie spaziali e università tedesche e svedesi.


Questo strumento, composto da un magnete e da molteplici rivelatori di particelle, orbita da circa tre anni attorno alla Terra, a un’altezza tra 350 e 600 chilometri, per studiare i raggi cosmici e, in particolare, la loro componente di antimateria. I raggi cosmici sono particelle accelerate a velocità vicine a quella della luce, probabilmente in seguito agli effetti di esplosioni di “supernovae” lontane o di altri fenomeni violenti nel cosmo; sono formati soprattutto da protoni, nuclei di atomi di elio, o più pesanti, ed elettroni. Tuttavia, tra le particelle più rare si trovano anche particelle di antimateria - identiche alle particelle di materia ma con carica opposta - e tra queste, in particolare, antielettroni, chiamati anche positroni, e antiprotoni. 


I risultati  pubblicati su “NATURE” evidenziano un’anomalia nel rapporto tra il numero di positroni e il numero di elettroni rivelati. Questa abbondanza di positroni può trovare una spiegazione plausibile in un segnale di materia oscura, ma non è da escludere che si tratti di particelle provenienti da pulsar o da altre sorgenti astrofisiche. L’ipotesi  è che le particelle di materia oscura presenti nella nostra galassia, interagendo fra loro, si annichilino o decadano, producendo sciami di particelle secondarie di alta energia e, in particolare, coppie protone-antiprotone ed elettrone-positrone che PAMELA sta intercettando. “Questi dati, insieme a quelli pubblicati sul rapporto antiprotoni su protoni  in febbraio su Physical Review Letters, rappresentano uno dei più  importanti  contributi di questi ultimi anni  alla conoscenza del mistero della materia oscura,  permettendo di restringere in modo molto significativo il campo delle ipotesi sulla sua natura’’, spiega Piergiorgio Picozza dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Università di Roma Tor Vergata, coordinatore dell’esperimento Pamela. Oltre ai nuclei di antimateria e ai possibili segnali di materia oscura, i fisici della collaborazione stanno cercando altri tipi di materia esotica, ma anche indicazioni sulle sorgenti dei raggi cosmici e sulle leggi che regolano i loro meccanismi di accelerazione e propagazione nella galassia, oltre a precise informazioni sull’evoluzione dell’attività del Sole. Il lavoro di analisi, cominciato dopo il lancio da Baikonur, in Kazakistan, il 15 giugno 2006, coinvolge una collaborazione internazionale, a cui partecipano scienziati italiani,  russi, tedeschi e svedesi. I ricercatori italiani, provenienti dalle Sezioni INFN e università di Roma Tor Vergata, Trieste, Firenze, Napoli e Bari, dai Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN e dall’IFAC del CNR di Firenze, costituiscono il nucleo centrale e più numeroso della collaborazione. La missione Pamela continuerà a fornire informazioni per almeno altri tre anni.


La conferma della realtà della materia oscura è data da un lavoro pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics da un gruppo di ricerca canadese e francese, coordinato dall'Istituto di astrofisica di Parigi. Spiega Ludovic Van Waerbeke, dell'Università della British Columbia: "Il risultato é senza precedenti, una pietra miliare per l'astronomia". Avere la certezza che esiste la materia oscura significa infatti, lavorare in una certa direzione per comprendere la storia e il destino dell'Universo. Ma come è possibile aver visto la "materia oscura" se questa risulta invisibile? Gli astronomi hanno usato un trucco che offre la natura. Sfruttando la fotocamera digitale più grande del mondo di cui è dotato il telescopio Canada-France-Hawaii Telescope (Cfht) posto sul monte Mauna Kea nelle Hawaii, i ricercatori hanno analizzato migliaia di immagini per individuare gli "effetti gravitazionali" della materia oscura sulla luce visibile, un fenomeno chiamato effetto della "lente gravitazionale debole".

 

In altre parole la luce che arriva sulla Terra da galassie lontane, mentre viaggia nello spazio, è deviata dalla "materia oscura" a causa della sua massa. Confrontando migliaia di immagini è possibile posizionare in tal modo la sua distribuzione nello spazio e verificarne la quantità ossia proprio la sua massa. Con questa scoperta giunge la conferma a ciò che si ipotizzava da tempo: la materia visibile che compone l'Universo - tutti i pianeti, le stelle e gli oltre 120 miliardi di galassie - costituiscono solo il 4%. Il resto, il 96%, non si sa cosa sia, ci è "oscuro". Il 70% di questa "oscurità" è "energia oscura", il 26% è la materia oscura di cui gli astronomi canadesi e francesi hanno scoperto l'esistenza.

Energia oscura

Fino a pochissimi anni fa, era opinione comune tra gli scienziati che l’espansione dell’Universo, il costante allontanamento delle galassie le une dalle altre iniziato con il Big Bang, stesse gradualmente rallentando; ciò a causa dell’effetto gravitazionale della massa che compone il cosmo, che doveva contrapporsi alla spinta repulsiva dell’espansione. Questo semplice concetto era comunemente accettato sebbene non fosse mai stato dimostrato empiricamente. Infatti, la relazione lineare stabilita dalla legge di Hubble, secondo cui il tasso di espansione è direttamente proporzionale alla distanza, non era mai stata testata per oggetti estremamente lontani (oltre 1000 Mpc).
In figura: L’elaborazione di un supercomputer di un’area dell’Universo mostra le galassie come puntini luminosi lungo filamenti di materia, con un mare di energia oscura a riempire lo spazio tra gli universi isola.

Nel 1998, due team indipendenti di astronomi erano appunto impegnati a misurare una volta per tutte il tasso di rallentamento dell’espansione cosmica, utilizzando lontanissime supernovae quali candele standard. La loro ricerca fu fruttuosa, ma il risultato che ottennero era l’opposto di quello che stavano cercando. Emerse infatti che le supernovae erano meno brillanti, e quindi più lontane, di quanto ci si aspettasse considerando il loro red shift. Poiché il red shift esprime il grado di allungamento delle onde luminose causato dall’espansione cosmica, un red shift basso indicava che in passato la luce di queste distanti supernovae viaggiava in un Universo che si espandeva meno rapidamente dell’Universo attuale (il cui tasso di espansione é già stato accuratamente calcolato). Si dimostrò quindi, contro ogni previsione, che l’espansione universale sta accelerando! E questo da circa 10 miliardi di anni.
La comunità scientifica aveva un nuovo caso da risolvere. La quantità di materia stimata nell’Universo era troppo grande per permettere l’accelerazione del moto di espansione. Non avendo una idea precisa di chi potesse essere il “colpevole”, gli astronomi gli diedero un nome misterioso, energia oscura, per analogia con un’altra fantomatica protagonista della cosmologia contemporanea, la materia oscura. Come per quest’ultima, anche per l’energia oscura si formulano diverse ipotesi sulla sua composizione e sulle sue proprietà. Certa, per ora, è la sua azione antigravitazionale, ma non è ancora noto come agisca né di cosa sia costituita.


Si calcola che l’energia oscura costituisca fino a due terzi dell’energia dell’Universo. E’ un dato sorprendente, ma non il più “oscuro” della faccenda. Ancora più sconvolgente è pensare che il cosmo sia permeato da una sostanza che esercita una forza gravitazionale negativa. Questa idea contrasta con la nostra comune concezione di gravità, eppure la teoria della relatività non esclude l’esistenza di un elemento antigravitazionale. Einstein infatti introdusse nelle sue equazioni una forma esotica di gravità negativa, la costante cosmologica, per giustificare il modello, allora quasi incontestabile, di un Universo statico a dispetto dell’attrazione gravitazionale della materia.


A seguito della scoperta dell’espansione cosmica da parte di Edwin Hubble, la costante cosmologica venne definita da Einstein stesso “il più grande errore della mia vita”, ma oggi, con l’apertura del caso “energia oscura”, è ricomparsa sulla scena quale possibile spiegazione del fenomeno antigravitazionale. La meccanica quantistica spiega la costante cosmologica come contributo della densità di energia del vuoto con pressione negativa, che si contrappone alla tendenza della materia di attrarsi.
Gli effetti dell’energia oscura non sono costanti nel tempo. La sua forza repulsiva é infatti piuttosto debole, e può farsi sentire solo in tempi “moderni”, in un Universo meno denso dove l’attrazione gravitazionale della materia risulta diluita dall’espansione. Ma quando l’Universo era molto giovane – oltre 10 miliardi di anni fa – la repulsione antigravitazionale era troppo debole e non poteva fare molto contro l’attrazione gravitazionale esercitata dalla materia. Si suppone quindi che in passato l’espansione cosmica abbia effettivamente vissuto una decelerazione, trasformatasi in accelerazione solo più di recente.
Le prime osservazioni di alcune supernovae a enormi distanze (red shift >1), condotte dal Prof. Riess della Johns Hopkins, uno degli astronomi coinvolto nella straordinaria scoperta del 1998, sembrano proprio portare a questa conclusione. In ogni caso, le indagini sono solo all’inizio e presumibilmente condurranno ad entusiasmanti, sorprendenti rivelazioni. Concludendo, possiamo affermare che, dopo 5 miliardi di anni dal Big Bang, ha cominciato a prevalere l’energia oscura sulla materia oscura, accelerando in tal modo l’espansione della materia nel cosmo.

Materia ed Energia Oscura: un altro passo in avanti verso la costruzione di un “nuovo” paradigma di valutazione della realtà.
Alla luce di queste scoperte su fenomeni molto importanti da cui si può evincere la vera natura dell’universo, non si può non cambiare l’intero nostro paradigma di valutazione dell’universo stesso, che coinvolge direttamente anche la nostra esistenza umana. C’é qualcosa, infatti, che sembra rendere insufficienti le teorie fisiche convenzionali che sono partite dagli assiomi e dalle convinzioni della fisica newtoniana. Questa parte mancante che ci appare invisibile ed oscura, e che gli scienziati per l’appunto sogliono ora chiamare come materia oscura ( dark matter ) ed energia oscura (dark energy ) ci rinvia necessariamente ad una riflessione più approfondita sull’universo e le sue leggi, e di conseguenza su noi stessi che ne facciamo integralmente parte. Tale analisi ci porta da una osservazione che prende le mosse dalle scoperte e dalle teorie più avanzate della fisica, con particolare riferimento alla teoria einsteiniana del Campo Unificato e alla Fisica Quantistica, per condurci però oltre, ovvero a una riflessione metafisica. Cos’è infatti, quello che dimostra prepotentemente la sua esistenza, il principio unico e ancora a noi oscuro, che dimostra essere responsabile del corretto funzionamento dell’universo e della sua unità, se non un principio che la Filosofia Classica Antica e Moderna soleva definire come metafisico? Per riuscire a motivare questa nostra affermazione ci baseremo sull’analisi di teorie della Fisica estremamente avanzate come quella del Vacuum Quantistico e la Teoria degli Universi Paralleli, analizzate e sviluppate dal defunto scienziato russo Andrej Sakharov, e la Teoria dell’Universo Olografico di David Bohm, mettendole in relazione con le recenti scoperte sulla cosiddetta materia ed energia oscura. Partiamo dunque per questo affascinante viaggio che ci condurrà dalla Fisica alla Metafisica avendo come prima tappa lo studio e le teorie del fisico russo Andrej Sakharov (1921-1989). Quest’ultime si rivelano di fondamentale importanza perché ci introducono ad un nuovo paradigma di valutazione dell’universo e dei meccanismi che lo regolano. Infatti, l’assunto che rende assolutamente straordinarie e rivoluzionarie tali teorie elaborate negli anni Settanta del secolo appena concluso rispetto alla visione meccanicistica tradizionale dell’Universo, è che: il vuoto(vacuum), inteso come lo spazio che intercorre tra le particelle di materia, non è vuoto ma al contrario pieno di enormi quantità di energia fluttuante. Questa forza viene anche definita come materia oscura, e la scienza ufficiale non riesce ancora a comprendere cosa realmente essa sia. In questa prospettiva , il Vacuum è concepito come la risultante dell’interazione delle particelle tra di loro, le quali non solo si influenzerebbero reciprocamente ma creerebbero un portentoso “effetto campo”: un’impronta energetica capace di muovere l’universo. Stiamo forse parlando dell’energia oscura, che sembra essere responsabile del processo di espansione dell’universo? Da questa prima analisi delle teorie di Sakharov, emerge con chiarezza il duplice aspetto e l’apparente ambiguità che permea i concetti di materia ed energia oscura elaborati fino a questo momento dalla scienza ufficiale. Tali concetti, infatti, sono stati confezionati ad arte per spiegare fenomeni che in caso contrario apparirebbero come inspiegabili. Si deve dunque andare oltre tale apparente ambivalenza e contraddizioni. Pertanto, solo cambiando ed ampliando la nostra visione, si potrà giungere ad una nuova prospettiva che ci porti a capire meglio ciò di cui realmente stiamo parlando ora. E potremo raggiungere il nostro obiettivo solamente ampliando i nostri orizzonti e lo potremo fare solo continuando il nostro viaggio alla ricerca della conoscenza. La prossima tappa é l’analisi della teoria degli Universi Paralleli, anche quest’ultima studiata ed approfondita da Sakharov. Egli, infatti ampliò ed approfondì la teoria formulata da Hugh Everett III. Secondo tale teoria é possibile ipotizzare l’esistenza di molti universi paralleli al nostro ed in relazione con esso. Forse che i concetti di materia ed energia oscura potrebbero essere spiegati inquadrandoli in un contesto più ampio in cui si ammette l’esistenza non di un Universo ma di un Multiverso? Tale interpretazione porterebbe sicuramente a una maggiore comprensione dell’esistenza di oggetti come i precedentemente citati “Buchi Neri”. Quest’ultimi sarebbero centri da cui promana una fortissima energia di attrazione gravitazionale tanto potente da poter risucchiare anche la luce stessa ( da qui il loro nome e la loro relazione con la materia oscura) al loro interno. Ma la domanda che ci poniamo a cosa possono servire, quale è la loro autentica ragion d’essere? Certamente in un’ottica tradizionale, promossa dalla scienza ufficiale, non sono facilmente codificabili né comprensibili. La cosa, invece, muterebbe totalmente aspetto ammettendo per esempio l’ipotesi che tali oggetti nient’altro siano che dei passaggi interdimensionali, dei trés d’union che collegano vari differenti universi tra di loro. Siamo dunque ora pronti ad affrontare il rush finale che ci condurrà alla meta prefissata all’inizio: il passaggio da una visione squisitamente fisica a una metafisica con un approccio molto più esteso, omnicomprensivo ed efficace, un approccio olistico. Per far ciò dobbiamo assolutamente soffermarci ad analizzare la teoria dell’universo olografico promossa da David Bohm. Secondo tale teoria l’universo che percepiamo ed in cui esistiamo é un ologramma: un’immagine che rinvia a qualcos’altro. E’ la vera realtà che si nasconde dietro l’apparenza di quest’immagine che ci propongono i nostri sensi guidati dal cervello. In realtà Bohm nella sua teoria non fa altro che riscoprire una visione metafisica ed olistica della realtà, che ha illustri precedenti nella nostra storia come il filosofo rinascimentale Giordano Bruno. Il Bruno infatti nel suo “De umbris idearum”, afferma che: “l’universo é un corpo unico, organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le altre. Fondamento di quest’ordine sono le idee, principi eterni ed immutabili, ogni singolo ente, essendo imitazione, immagine, ombra della realtà ideale che la regge”. Come si vede chiaramente, il Bruno, quando parla di idee, allude certamente al cervello ed alla sua potenzialità creativa; la stessa caratteristica su cui si basa l’ologramma di David Bohm. Quindi, come viene intelligentemente proposto dal film capolavoro dei fratelli Warchowski, “Matrix”, la realtà che noi percepiamo é una immagine proiezione della realtà autentica, la quale platonicamente può avere vari livelli di comprensione che corrispondono ad altrettante differenti immagini. Ma la realtà che origina tutti questi ologrammi é unica e, andando a pescare nella grande saggezza dei Veda, si può definire come l’unità dell’essere divino, che si differenzia nella molteplicità delle cose visibili ed invisibili come la materia e l’energia oscura. In realtà non c’è nulla di nuovo sotto il sole, e tale saggezza antica ed arcana proveniente dall’Oriente é stata direttamente o indirettamente assimilata alla cultura specialmente filosofica dell’Occidente. Infatti, andando a vedere un concetto simile lo possiamo trovare anche in uno degli autori più importanti e rappresentativi dell’intera Filosofia Classica Moderna: il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Infatti, Hegel, quando parla di Mente o di Spirito, non fa altro che riprendere ed approfondire un concetto antichissimo: quello che nei testi vedici viene definito come Atman (anima). L’Atman é l’essere senza nome e senza forma che Dio (Bhraman ) utilizza per verificare l’operato dell’anima incarnata (Jivhatma). Hegel fa riferimento a tale concetto quando parla di Spirito. E’ infatti “Il Farsi dello Spirito” che origina la Natura, quello che noi abbiamo definito come Universo ed é in tale contesto che germoglia e si sviluppa la storia umana. Hegel nella sua riflessione non fa altro che rilanciare con forza l’immanenza dell’assoluto, che é propria di ogni autentica riflessione metafisica. In tale visione che noi potremmo definire metafisica e olistica decadono le false ed illusorie opposizioni tra unità e molteplicità e tra finito ed infinito e la realtà appare originata da un'unica matrice.


Conclusioni
Abbiamo finalmente raggiunto la nostra meta finale del nostro viaggio attraverso conoscenze filosofiche e scientifiche millenarie. Siamo partiti dall’analisi di ciò che la scienza ufficiale definisce come materia ed energia oscura per riscoprire come l’indagine su questa visione, che ci rivela una parte di realtà nascosta alla nostra percezione, sia in verità il primo passo per costituire un “nuovo” paradigma di valutazione della realtà. Tale visione ha il merito di recuperare e conferire valore ad una visione olistica e metafisica della realtà medesima, e può darci potenti strumenti per comprendere l’universo, e quindi anche noi stessi.